domenica 8 ottobre 2023

Escursione in Valle Infernotto da Barge



Il punto di inizio della escursione è situato al Ponte dell'Ula (675 m) raggiungibile attraverso una sterrata le cui condizioni fino al Laghetto dei Pescatori (luogo da inserire su Google Maps) sono discrete per poi diventare accidentate con molti dossi e sassi: si può comunque percorrere con una normale auto, non è necessario disporre di un fuoristrada. Poco oltre il Ponte suddetto c'è un piccolo parcheggio dove lasciare l'auto. Si attraversa dunque il Torrente Infernotto sul Ponte dell'Ula e si segue la strada sterrata che sale nel bosco. La strada è fiancheggiata da castagni secolari che producono ancora frutti  in discreta quantità. 

La strada supera il rio del Fosso Ciolera e continua a salire con pendenza abbastanza costante Dopo due tornanti distanziati da tratti rettilinei. Sulla destra è possibile intravedere sull'altro versante della valle alcuni edifici che si incontreranno più avanti nel percorso ad anello. Si attreversa quindi un altro piccolo rio e si sale ora su di un tratto di strada asfaltata.


Percorsi due tornanti al secondo è ormai visibile il semplice edificio della Capanna Sociale Infernotto (1088 m)


da https://www.alpicuneesi.it/rifugi/valleinfernotto/


Siamo a circa un'ora e mezza di distanza dal Ponte dell'Ula da cui siamo partiti.  
Dietro il rifugio vicino ad una piccola fonte attrezzata dall'acqua freschissima, inizia un sentiero pianeggiante, ricavato nel bosco che in circa 10 minuti  si ricongiunge alla strada sterrata della salita. Ci si dirige verso sinistra, in salita e dopo aver guadato due ruscelli (Comba Valanca e Rio Rocca Nera) si giunge su di un acciottolato pietroso alle baite in parte ristrutturate delle Meire Ruschere (1132 metri)




L'ampioterreno posto a monte delle baite invita ad una sosta, dato che siamo ormai a metà circa del percorso. 
Proseguendo oltre le abitazioni la strada confluisce in un altra sterrata che si segue in discesa.
La strada  costeggia in successione tre nuclei abitati, l'Eremo Santa MariaLa Bula e le Meire Rocca Respond. Giunti poco dopo l'ultimo di questi edifici incontriamo una meira isolata (Dalla Treccani: Dimora stagionale, formata da una stalla-fienile, posta a media altezza fra le abitazioni permanenti e i pascoli più elevati) con accanto un grosso castagno). Qui aiutati da un vetusto cartello in legno posto sula nostra sinistra perpendicolare alla via, scendiamo a vista lungo il prato alla cui fine si intravede l'inizio del bosco per una cinquantina di metri. Quivi si intravede un sentiero coperto da foglie che bisogna imboccare sulla destra per dirigersi verso l'ormai vicino Monastero di Pra 'd Mill (866 m). Per le notizie storiche relative alla storia  della sua edificazione nel 1995 e ai monaci cistercensi (16 nell'ottobre 2023)  che lo curano si rimanda ai numerosi siti presenti sule web Sito monasteroPiemonte SacroYouTube

Nella mia escursione ho avuto modo di scambiare qualche parola con il gentile Fratel Emanuele che mi ha descritto le attività che si svolgono durante tutto l'anno oltre un breve excursus sulle origini millenarie dell'ordine cistercense. Dopo le fatiche dell'escursione questo piacevole intrattenimento ha costituito una piacevolissima sorpresa. Lascito il complesso in discesa verso la piccola cappella del XVIII secolo ad un piccolo tornante erboso si imbocca a sinistra una  mulattiera che scende gradualmente verso il Torrente Infernotto. Il cambiamento di temperatura è percepibile per l'aria decisamente più fresca. Lungo il percorso è possibile ammirare una cascatella del torrente scavata nella pietra. Più oltre sempre scendendo su fondo accidentato, una grande barriera di cemento da cui l'acqua defluisce  meno impetuosamente. 

La strada ormai è al suo termine, ci si ricongiunge al Ponte dell'Ula da cui eravamo partiti circa tre ore prima. Il percorso per buona parte del suo svolgimento è posto in ombra sotto le imponenti latifoglie. Ideali quindi per le giornate calde dell'estate o per questa anomala giornata di ottobre in cui il termometro registrava quasi 30 gradi! 

sabato 24 giugno 2023

Lisbona e Porto: itinerari fuori traccia. Vacanza in Portogallo

Disponendo di sette giorni, ho visitato solo queste due città. Cinque giorni per la prima e due per la seconda è una proporzione ideale per coglierne lo spirito. La prima impressione che ci trasmettono è il caotico sviluppo che le coinvolge ad ogni ora della giornata: tanti edifici in ristrutturazione, strade sventrate da lavori della metropolitana,  in città, tra l'altro, che già vantano molte linee. Al confronto, alcune nostre metropoli italiane più popolate offrono ben più striminzite risorse di trasporto locale. Numerose anche per le vie, sono le immagini di esistenze bruciate: uomini coricati lungo i marciapiedi senza cartoni, coperte, nulla di nulla e poi anche coppie che hanno ha ricavato in angoli sordidi di edifici dismessi una base  per la vita quotidiana. Sono persone all'ultimo stadio della discesa agli inferi, che non chiedono più neanche elemosine. Agli incroci stranamente non si vedono né accattoni né i fastidiosi pulisci vetro delle nostre città. 

Ma voglio tornare al tema del titolo, il fuori traccia. Ogni guida delle due città (Michelin, Touring, Lonely Planet) è prodiga di consigli sui luoghi classici del turismo tradizionale. Musei (non tantissimi in verità quelli di eccellenza), impressionanti luoghi panoramici favoriti dalla struttura a saliscendi di Lisbona e Porto, ristoranti e caffè storici, mezzi di trasporto come il Tram 28 di Lisbona sono luoghi che ricorrono costantemente... E come sempre in questi casi le code per accedervi sono scoraggianti. 

Ho scelto di proporre in breve alcuni spunti di visita che possono essere fatti in tutta tranquillità

Per i trasferimenti in città, anche se più faticoso, il camminare senza utilizzare mezzi pubblici è il sistema che prediligo perché permette di osservare con calma scene di vita quotidiana, magari banali ma che  inquadrano bene il fluire del quotidiano di una città. 

Museo della Farmacia (Lisbona)  Rua Marechal Saldanha 1

Comprende oggetti di grande valore artistico donati a partire dai primi anni '80 da varie farmacie portoghesi. Il risultato è una storia eccezionalmente documentata della farmacia mondiale. In occasione della mia visita, le sale erano deserte per cui è stato possibile osservare tutti i reperti  in maniera rilassata e completa (i vantaggi di luoghi espositivi fuori dalle rotte del turismo classico)





Cimitero dos Prazeres (Lisbona) Praça São João Bosco 568

La bellezza del luogo è data dalla posizione su di una collina con vista sui quartieri occidentali e il ponte 25 Aprile. Per arrivarci è consigliabile usare la linea storica del tram 28 partendo dal suo capolinea in Praça Martim Moniz possibilmente prima delle 9 di mattina, dopo di ché l'affollamento è garantito e in grado di togliere ogni piacere al viaggio. Viaggio che termina all'altro capolinea proprio all'ingresso del cimitero.
E' un cimitero ben ordinato con cappelle sepolcrali abbastanza uniformi in dimensioni pur nella varietà espressiva dell'architettura. La particolarità della stragrande maggioranza di esse è che le bare contenute sono a vista. Alcune di esse sono centenarie e in stato di degrado con cedimenti che svelano l'interno.



 Un drappo ricamato in genere le ricopre per intero. Il cimitero nasce poco prima della metà dell'800 in un area cittadina occupata da famiglie dell'aristocrazia per cui diventa in breve il loro riferimento per l'eterno riposo. Nella grande cappella posta all'inizio dei viali sono visitabili tre locali di cui uno adibito a sala per le autopsie ottocentesche e un altro a studio del direttore del cimitero attivo in tempi passati.



La tranquillità del posto è messa a dura prova dal fatto che il cimitero è sulla rotta di atterraggio degli aerei in arrivo al grande aeroporto della città: ma nel complesso, dopo qualche minuto, ci si abitua a vedersi passare sulla testa i grandi aviogetti di linea.



Cimitero britannico (Lisbona) R. de São Jorge 6


L'esigenza di disporre in territorio lusitano di una area dove poter seppellire sudditi britannici nasce fin dalla metà del '600 ma ci vorrà quasi mezzo secolo per arrivare ad un accordo e alla concessione di uno spazio cimiteriale (1717). Il sepolcro più visitato è quello imponente di Henry Fielding (l'autore del romanzo di formazione Tom Jones per intenderci) approdato in città alla ricerca di una impossibile guarigione. Si tratta di un monumento in granito posteriore di quasi un secolo alla morte dello scrittore della cui salma nulla è dato di sapere. Un'area è dedicata ai caduti del Commonwealth nella seconda guerra mondiale. I vialetti sono ben tenuti, molte le specie arboree rappresentate. 

Chiesa di Santa Clara (Porto)   Largo Primeiro de Dezembro 


Capolavoro del barocco giovannino è un tripudio di sculture in oro (in portoghese tahla dourada) tutte in legno. Dal '500 è stato sotto la giurisdizione delle suore francescane delle Clarisse: con la morte dell'ultima di esse a inizio '800 è iniziato un lungo periodo di declino fino al  recente restauro del 2021 che ne ha evidenziato e valorizzato tutta la bellezza. Il prezzo del biglietto è irrisorio (4 euro): una informatissimo accompagnatore illustra vari aspetti della storia della chiesa che non sono reperibili né sul web né sulle guide. Nel nartece, posto in alto e separato da una grata lignea che affaccia sulla navata centrale, si raccoglievano le suore di clausura: eleganti stalli lignei permettevano grazie ad un ingegnoso elemento decorativo di appoggiare per sollievo le natiche delle oranti. Nel corso della lunga chiacchierata con la nostra guida ho appreso le 3 F del Portogallo con cui nei lunghi anni della dittatura si teneva buono il popolo: Fado, Futbol e Fatima (nel senso della Fede).

 


Consigli spiccioli.

  • Ho visitato alcune librerie antiquarie nel complesso piuttosto deludenti non tanto per i prezzi, davvero eccessivi, quanto per la limitatezza delle offerte. 
  • Attenzione alla pavimentazione dei marciapiedi! Essa è costituita da un mosaico di sanpietrini in porfido lucidi e lisci che in caso di pioggia diventano estremamente scivolosi. Tenendo conto del fatto che moltissime vie di Lisbona e Porto sono con pendenze vertiginose, la possibilità di caduta sono grandi. La Rua dos Remedios, prima di essere ricondizionata, era famosa per questo motivo, in virtù dello stato sconnesso del selciato.
  • Il famoso mercatino bisettimanale (martedì e sabato) della Feira da Ladra è abbastanza deludente. Molti oggetti di poco interesse e valore a prezzi spropositati. Animato e folcorico sì, ma poco altro. 
  • Sedersi al dehors di un caffé per ammirare la città da uno dei tanti Miradouro sparsi un po' ovunque, è abbastanza economico, basta un minimo di attenzione. 
  • Il livello dei vari hotel cittadini non è eccelso se paragonato a quello degli standard italiani. Le colazioni in compenso ottime (The Editory House Ribeira Porto Hotel, rua Infante Dom Henrique 26 per esempio)
  • Come detto sopra, inviterei ad usare poco i mezzi pubblici, salvo che per spostamenti grandi (Cascais, Parque das Nações, Belem, Sintra a Lisbona): il sistema di biglietti non agevola il turista. Bisogna acquistare (quasi solo nelle stazioni metro) la tessera Viagem a 50 centesimi e ivi caricare il numero di viaggi che si pensa di utilizzare. Non è difficile imparare, solo noioso.
  • Ho evitato di recarmi a Sintra, vera Disneyland portoghese dove confluiscono masse sconfinate di turisti e dove bisogna pre acquistare i biglietti molti giorni prima in determinate fasce orarie e poi mettersi comunque in coda per l'entrata... Non fa per me.
  • Nelle due città innumerevoli sono i ristoranti su cui far cadere la scelta. Anche qui le code per accedere sono in certi casi scoraggianti. Tanto più che a volte non accettano prenotazioni. Io ho evitato attese snervanti trovandomi quando prima possibile davanti al posto prescelto. Le mie esigenze comunque, in viaggio sono dedicate al dormire bene in hotel scelti con cura più che al mangiare.
  • I taxi costano relativamente poco in confronto all'Italia
  • Tra le varie trappole per turisti metterei anche i vari elevador sparsi in città (soprattutto Lisbona): costano (giugno 2023) 3,80 euro che sarebbe ancora poco, se vogliamo, ma in conto dobbiamo mettere code estenuanti, essere pigiati in una cabina ristretta e percorrere il tragitto in meno di un minuto. Fate voi.
(in costruzione)

 

sabato 8 maggio 2021

Una visita all'ex manicomio di Collegno

Tutto nasce in un lontano giorno d'inverno del 1944. La guerra volge al termine. Ovunque a Torino sono evidenti i segni dei bombardamenti alleati del luglio precedente. Natale è alle porte ma nella casa di mio nonno Giacomo non c'è nessuna voglia di festeggiare. Nonna Luigia sta male, da mesi una profonda depressione la isola dal mondo: tra lamenti, grida e rifiuto del cibo la vita sua e quella dei familiari è sempre più difficile. In questa situazione il medico condotto non vede altra soluzione che consigliare l'internamento in manicomio. Non esistono infatti psicofarmaci in grado di dominare la malattia, l'uso della clorpromazina, capostipite di questa classe farmacologica, è dei primi anni '50. E' così che nella primavera del '45 mia nonna lascia per sempre il paese, la casa e i familiari per entrare nell'ex Regio Manicomio di Collegno. 



Sono questi i presupposti alla base della mia ricerca di prove e documenti che gettino luce su una delle vicende della mia famiglia su cui non sono mai riuscito a trovare precise testimonianze. Il tentativo via mail indirizzato al Comune di Collegno, sede dell'ex manicomio, si era rivelato inutile. Ero stato indirizzato all'Ufficio edilizio, nonostante avessi specificato che la mia era una ricerca genealogica. La ricerca sul web, per contro, si è rivelata produttiva. Ho trovato infatti la pagina del Centro di Documentazione sulla Psichiatria col nome del curatore Lillo Baglio. In pochi giorni, grazie al suo interessamento, ho resuscitato dall'oblio la cartella psichiatrica di mia nonna Luigia. Non proprio una cartella clinica con tanto di diaria e terapie, ma comunque una faldone con tante notizie utili, dati relativi all'accoglimento della paziente, alle pratiche necessarie per l'internamento e all'atto di morte. La cartella presente nell'Archivio collegnese, che raccoglie migliaia di documenti provenienti da tutti gli istituti psichiatrici dell'area torinese deve la sua salvezza in primis a Roberto Contartese uno degli ultimi pazienti del manicomio, docente di filosofia, uomo di grande cultura affetto da schizofrenia paranoide, che nei momenti di lucidità era però in grado di portare avanti impegnativi progetti come la catalogazione e messa in sicurezza di atti documentali dei vari Istituti psichiatrici dell'area torinese, via via che erano dismessi. Lillo Baglio negli anni '80 proseguì in maniera ideale l'opera del Contartese.

Ritornando a mia nonna, la sua vera cartella clinica con le annotazioni sulla salute e sulle cure praticate è stata, come dicevo più sopra, dispersa al pari di quelle di migliaia altre pazienti. Ma è già da considerarsi miracoloso l'avere salvato dal degrado e dissoluzione questi documenti. 

In famiglia, la vicenda di nonna Luigia era sempre stata tratta con una certa opacità. Si faceva risalire la sua condizione psichica ad un tumore in stadio avanzato che le procurava dolori terribili. Può essere vero questo, le testimonianze familiari al riguardo sono sempre state piuttosto vaghe. Mi sono chiesto spesso con quale frequenza mio padre, nonno Giacomo si recassero in visita a Collegno. Come vivesse Luigia l'alienante distacco dai luoghi cari, anche su questo è calato l'oblio.

Entrare tra le mura del vecchio manicomio che ancora reca i segni del suo passato utilizzo, è stato un momento particolare. 


Nella grande sala della biblioteca, adibita a luogo d'incontro, mentre sentivo l'inesauribile  messe di informazioni sulla storia del complesso manicomiale fornita dal Sig. Lillo, il mio sguardo andava al pavimento in mattonelle di graniglia e alle sbarre che proteggevano quasi tutte le numerose finestre. Era questa sala, in origine, una delle ali di cui erano composti i vari settori del manicomio. Una targa in plexigas ricorda l'opera meritoria del Contartese, alle pareti quadri di art brut creati dalla fantasia dei ricoverati, alcuni autentici artisti. Ad arricchire il flusso di informazioni ed aneddoti del Sig. Lillo è intervenuto nella mattinata una figura illuminata della psichiatria torinese, il Prof. Annibale Crosignani, che parallelamente ad altre esperienze italiane, inizia nel manicomio di Via Giulio un esperimento di radicale rinnovamento nell'assistenza dei pazienti fin dal 1969, nove anni prima quindi della legge 180. Nello specifico a Torino la chiusura dei manicomi si può far risalire al 1973, con la creazione di un sistema di assistenza territoriale.  Il sistema è ancora allo stato embrionale quando nel 1978 entra in vigore la nuova legge: le carenze della rete assistenziale si fanno sentire e le prime vittime di ciò sono i malati stessi. Ogni guerra ha i suoi morti -dice qualcuno riferendosi alle centinaia di malati che dall'oggi all'indomani si trovano tra le mani una libertà di cui non sanno cosa fare e finiscono dispersi o muoiono senza assistenza alcuna, perché nessuno ha pensato a creare adeguate forme di sostegno post ricovero. 

Una passeggiata lungo il perimetro del bel chiostro dell'ex Certosa conclude la visita in questo luogo dove ho ritrovato le tracce dell'esistenza di una nonna che non ho mai conosciuto, ma che la memoria familiare ha conservato e trasmesso. Sono uomini come Contartese, Baglio e Crosignani che portano avanti la testimonianza di un grande affresco storico, ognuno nel suo ambito di competenze, tutti insieme uniti da un sentimento di grande valore: la passione per la cultura e per il valore della persona umana. 




sabato 12 settembre 2020

Valle Maira


 Terzo soggiorno, nello spazio di un mese, in valle. Si perde invece nel lontano passato della mia giovinezza il ricordo della mia prima volta qui. Era la fine degli anni '60, per due estati fui ospite di Riccardo, compagno di liceo, la cui famiglia originaria di Acceglio passava le vacanze estive nell’austero caseggiato in centro paese che per anni fu adibito a caserma. Tanti alloggi, molti vuoti, scale a non finire, stanze sempre in penombra, popolate di mobili massicci e di una infinità di oggetti, giornali, soprammobili, sedie tavolini e canterani con ante di vetro che celavano a loro volta una miriade di suppellettili. Le vacanze in paese erano stanziali in massimo grado. Nessuna escursione, qualche passeggiata nei dintorni, lunghi pomeriggi nel caffè dell’hotel a giocare a calcetto, a pensare al vero motivo della mia venuta, che immancabilmente era la partecipazione ad un torneo di pallavolo da organizzarsi fra squadre del paese. Erano gli anni della mia militanza pallavolistica col CUS Torino, anni ancora molto amatoriali che in capo a qualche anno avrebbero portato la pallavolo torinese ai massimi livelli nazionali: ma lì ero già andato in un’altra squadra in quanto gli studi di medicina non erano compatibili con il nascente agonismo. E poi lo ammetto, forse non ero quel bravo giocatore che pensavo: l’altezza c’era ma difettavo della potenza e coordinazione necessari per emergere. Il torneo alla fine non si svolgeva. Mancavano i giocatori. Nell’ultima estate passammo una notte a guardare il cielo stellato della notte di San Lorenzo e a parlare di un futuro ancora vago. Poi finì il liceo, cambiarono le abitudini e della Valle Maira restò il ricordo sbiadito di tanta noia e di tornei mancati. Fino a questo 2020 in cui, complice la pandemia, si è ridimensionato il programma di vacanze. La sorpresa di trovare una valle ancora viva, con offerte di alloggiamento di qualità, è  stata una sorpresa. Risalendo la valle si incontrano tanti paesi, qualcuno minuscolo altri più strutturati. In ognuno si coglie il segno di una qualche residua attività. È vero, molte case sembrano in disuso, molte insegne scolorite dagli anni recano la memoria di operosità finita da tempo. Albergo Impero. Residence Ciarbonet. Non è una valle a buon prezzo. Le locande in alta valle hanno mediamente prezzi superiori a quelli dell’Alto Adige. In compenso offrono servizi di ristorazione e alberghieri molto simili. Esiste una certa cura, ho notato, nel cercare una clientela attenta ed esigente. Soggiornando qui, ho più volte pensato alla filosofia della Riviera Ligure quasi sempre impegnata in un mordi e fuggi davvero peregrino. Nessuna fidelizzazione. Prezzi alti, bassissima qualità. Anni fa a Noli ho cercato invano di affittare un bilocale che non avesse mobili e suppellettili della nonna in perfetto stile anni 50/60.  Ho in breve lasciato perdere, perché l’offerta era davvero deprimente. Alloggi presentati  con ancora i “segni” del soggiorno dell’affittuario precedente, suppellettili sfinite dagli anni, cassetti  odorosi di antiche abitudini.

Ma torniamo alla Val maira. Soggiornare nella parte alta, dopo Acceglio per intenderci, dà l’opportunità di essere di mattino presto sui sentieri senza faticose levatacce. Perché per chi abita a Torino come me, è quasi d’obbligo pernottare almeno una notte in valle. Troppi i più di 300 chilometri da percorrere in un solo giorno. In tre dei miei soggiorni ho perlustrato tutti i luoghi che fossero alla mia portata ovvero non più di mille metri di dislivello, massimo 5/6 ore di cammino e assenza di tratti troppo esposti nè tantomeno vie ferrate. Il percorso di Frascati, i laghi Visaisa e Apzoi, oltre al lago Nero. Il giro della Rocca Provenzale. Il lungo vallone di Maurin  e la avventurosa strada in disuso per Elva sono solo alcuni dei bei itinerari effettuati nei mesi di agosto e settembre 2020. Rimane, leggo, ancora molto da approfondire soprattutto sul versante storico della valle. Le sue tradizioni, gli acciugai per esempio di Macra, le numerose chiese con affreschi  quattrocenteschi, i borghi sparsi nella media valle. 

sabato 22 agosto 2020

Lenin: un cadavere al servizio di una causa

 


Le foto che ritraggono Nadezhda Krupskaja  la vedova di Lenin trasmettono l’impressione di una volontà ferrea e grande determinatezza. Fino alla fine dei suoi giorni ricoprì importanti cariche, fu infatti membro del Comitato centrale del partito  e membro del presidium del Soviet Supremo.  Donna di solida cultura con una chiara visione politica di quello che soprattutto nel campo della scuola e dell’educazione andava fatto, era un punto di riferimento per il marito che le sottoponeva sempre i suoi scritti. Tutto questo non servì ad evitare che dopo la morte di Lenin si avviasse quel processo di venerazione/culto della salma voluto da Stalin. Troppo importante era infatti l’opportunità di sfruttare il cadavere del padre della rivoluzione in un sistema di acquisizione costante di consensi. Vana fu la lettera inviata da Nadezhda  al Politburo in cui si esprimeva la preghiera di non vedere il marito diventare oggetto di un culto della personalità. Se voi volete onorare la sua memoria - disse testualmente - costruite degli asili nido, dei giardini d'infanzia, edificate case, biblioteche, policlinici, ospedali, ricoveri per invalidi e così via, e soprattutto mettete in pratica i suoi insegnamenti". Anche Trotzky sottolineò come fosse inopportuno e molto poco “atteggiamento rivoluzionario” sostituire le reliquie dei santi della chiesa ortodossa con altre reliquie. Ma Stalin aveva bisogno di miti cui aggrapparsi non da ultimo per il consolidamento della sua posizione personale. In breve fu trovata la soluzione della conservazione del cadavere che doveva rispondere ad alcuni presupposti inderogabili: la salma doveva conservare un aspetto presentabile il colorito del viso soprattutto doveva risultare come quello di una persona in vita,  incarnato roseo e espressione serena. Così erano soddisfatte le aspettative dei milioni di visitatori del mausoleo. Fu un coraggioso un anatomo-patologo dell' università di Kharkov, il professore Vladimir Vorobiov ad azzeccare il giusto "balsamo" in grado di procurare l’eternità ai poveri resti terreni di Lenin. Il leader fu immerso in un bagno di formaldeide per un paio di settimane, per uccidere germi e batteri, impedendo così il progredire della decomposizione mentre con una soluzione di glicerolo si provvide ad ammorbidire la pelle. Si pensò quindi ad attenuare il rigor mortis, che avrebbe reso difficile il collocamento di Lenin all’interno della teca. Vladimir non era uno stinco di santo, di lui si scoprirono negli anni molte piccanti propensioni ai peccati della carne, ma gli va riconosciuto il coraggio di aver rischiato la carriera e forse anche la vita nell’esecuzione di questa impresa (Stalin non era particolarmente tenero verso chi falliva compiti da lui assegnati). La spietata logica della ragion di stato trovò giustificazione nel successo di questa operazione che oggi definiremmo mediatica. Milioni di persone da ogni angolo della sterminato territorio russo si riversarono a Mosca per far visita all’eccellente salma. Gradualmente il mausoleo si arricchì di strutture e apparati di laboratorio in grado di monitorare la salma e addirittura di provvedere ad accogliere, negli anni, altri illustri cadaveri necessitanti di garanzie di eternità. Nel trentennio ‘50-’70 arrivò a dar lavoro a più di 200 persone. Con la fine del comunismo, il laboratorio sembrava destinato a scomparire per mancanza di fondi tanto più che i finanziamenti statali si erano ridotti al 20 per cento. Il sindaco di Mosca ha però avuto la brillante idea di fornire i servizi di imbalsamazione/conservazione a potenti famiglie mafiose che desiderano mantenere viva la memoria dei cari defunti sborsando cifre di tutto rispetto. Con la relativa liberalizzazione di parola all’interno del grande ex impero sovietico sono sorte proposte di tutti i generi non ultima quella di trasformare la teca con il suo contenuto in una esposizione itinerante in giro per tutto il pianeta naturalmente a pagamento….

 


venerdì 14 agosto 2020

One Night Hotel. Gli alberghi di una notte. Esperienze di viaggio.

 Ho chiamato così quegli hotel che nei miei viaggi mi hanno accolto per una notte sola, in giro per l’Europa, durante viaggi di trasferimento verso il luogo o paese di vacanza. Sono hotel situati  nei pressi di una grande via di comunicazione, in genere un’autostrada facilmente e rapidamente raggiungibili quando la stanchezza della guida diventa fastidiosa. Non li ho, da tempo, mai scelti a caso, perché devono rispondere ad L uno requisiti di base: poco costosi, con colazione inclusa nel prezzo, un minimo accoglienti e non posti in grandi centri urbani. Tutte queste prerogative le puoi selezionare solo mettendoti pazientemente al computer e cercando in siti come Booking o Trivago quello che meglio risponde alle tue esigenze. Negli ultimi anni, cosÌ facendo, ho potuto usufruire di sistemazioni adeguate senza spendere grandi cifre. L’ultimo ONH della serie in ordine di tempo è stato un hotel frequentato da camionisti poco dopo Firenze posto a poco meno di metà strada tra Torino e Agropoli. Entrato in camera ho percepito l’odore dolciastro di disinfettante che in tempi di Covid viene usato un po’ ovunque sulle suppellettili per igienizzarle. La stanza presentava l’anonimato tipico di questo hotel. In questo caso comodini, luci, armadio mi riportavano ad una asettica rappresentazione degli anni ‘50. Nessun tentativo di abbellimento, tutto attentamente studiato per offrire il minimo confort al viaggiatore distratto che vuole solo mettersi a letto il più presto possibile per ripartire la mattina dopo all'alba. Lo squallore contenuto dell’ambiente comunque non disturba più che tanto in questi casi. Conta unicamente la pulizia, l’assenza di rumori esterni che disturbino l’addormentamento. Sono tollerati lontani rumori dì sciacquoni di altre stanze che in un certo senso danno un senso di sicurezza significando che al di là delle bianche pareti la vita continua, che persone assorte nei loro pensieri, fanno gli stessi gesti tuoi prima di scostare le lenzuola e giacere ad occhi aperti nel buio in attesa del sonno. Non sempre è stato tutto così tranquillo e riposante. Anni fa giunsi  di notte alla periferia di Terragona sudato e stanco per i mille e passa chilometri fatti nell’illusorio proposito di giungere all’imbarco di Cadice per il Marocco in un trasferimento non stop. Con me mia moglie e mio figlio. Questa volte la scelta dell’hotel fu affidata al caso. Non esisteva possibilità di scelta vista la stagione un agosto caldissimo che spingeva ogni sorta di villeggianti ad affollare ogni più squallido tugurio. Questo lontano nel ricordo hotel era in via della periferia della località spagnola, dove enormi condomini, edifici di ogni tipo e condizione trasmettevano un idea immediata di soffocante disperazione che il bianco predominate delle mura non attenuava anzi. Tutto quel biancore mi riportò alla mente le lezioni di un estroso professore al liceo che con tono scanzonato sciorinava tutti i significati celati nei colori usati da Mallarmé nelle poesie. Il bianco in particolare ( il collo del cigno che si distende) stava a simboleggiare l’angoscia della sterilità creativa... Strani pensieri, certo solo fulminee associazioni mentre pagavo in anticipo la topaia del primo piano che ci avrebbe dato un illusorio riposo. Ma questa di Terragona fu un’eccezione legata all’inesperienza e alla improvvisazione. In quegli anni internet non era ancora disponibile e per reperire un hotel dovevi affidarti alle incerte indicazioni delle Guide Rosse Michelin che volavano alto e non aiutavano certo chi volesse spendere poco. Un buon ricordo è quello dell’hotel di Sofia scelto per spezzare il viaggio da Istanbul. O quello nei pressi di Linz in Austria situato in una stazione di servizio isolata nella campagna. Stanza grande, igiene perfetta, tutti i confort. Vienna ci aspettava il giorno seguente. Sempre nel viaggio a Istanbul conserva ancora adesso un piccolo fascino la tappa a Paracin nel cuore della Serbia, non lontano dalla capitale. Vi giungemmo a fine pomeriggio quando il sole allunga le ombre con un bel colore rosato e attenua le brutture operate dall’uomo. Paracin è un polo industriale. Di lontano, lasciata la superstrada che da Belgrado si dirige verso l’estremo sud del paese, lo Sky Line è costituito da ciminiere di complessi siderurgici e dalla forma inconfondibile a ziggurat del nostro hotel il Petrus. Peraltro la silhouette ricorda anche un vero e proprio carciofo alla romana.... La sistemazione incarnò i principi base di questo tipo di hotel che sto raccontando. Economicità (42 euro), interni spartani dove le pareti con cemento a vista (anche all’interno della stanza) trasmettono un idea di provvisorietà immanente, arredi ridotti all'essenziale. La colazione, la mattina seguente, fu talmente esigua e povera che ci indusse ad una partenza veloce senza elevare nessuna protesta ai distratti e imperturbabili impiegati della reception. Nonostante tutto l’hotel di Paracin non è relegato tra i peggiori alberghi che negli anni ebbi modo di frequentare. 


martedì 2 giugno 2020

Il Parco della Rimembranza (o della Maddalena) di Torino

La bellezza di Torino non si rivela al viaggiatore frettoloso. La città  sa come catturare l'attenzione del turista curioso. Un fiume, una collina, un centro storico raccolto che fa si che le distanze tra i luoghi di interesse non siano troppo disperse. E poi ci sono tante piccole curiosità, non sempre facili da scoprire, che richiedono pazienza, ingegno e un pizzico di fortuna. Il Parco della Rimembranza non ha un appeal in grado di trasmettere soavi riflessioni al turista curioso. Per tanti motivi non lo consiglio a chi non ha tempo nè desiderio di riflettere su certi sgradevoli aspetti della  nostra storia patria. 
Rimembranza. Di cosa? Semplice. Di più di 4000 soldati vissuti in città, morti nella Grande Guerra. I loro nomi sono scritti con accanto la data di morte, su dei paletti di legno posti lungo i numerosi sentieri che salgono verso la sommità del Colle. La data di nascita non è riportata, ma è facile immaginare non tanto precedente gli anni 1916, 1917, 1918 che a volte con fatica riusciamo ancora a leggere sui piccoli bronzetti delle steli. Nomi che si ripetono, ordinati alfabeticamente: Mario, Bruno, Remo, Giovanni, Giuseppe.... Di sicuro tutti poco più che adolescenti. 
Saliamo dunque lungo viali i cui nomi, chi più chi meno, sui banchi di scuola ha imparato a conoscere, anche solo per sentito dire: Monte Sei Busi, Podgora, Castelgomberto, Castagnevizza. E' un'ascesa, la nostra, che racchiude un simbolo di grande potenza. Raggiungere in alto sul piazzale della Vittoria la grandissima statua-faro alata di Rubino significa assaporare l'inebriante gusto della  Vittoria ma per farlo dobbiamo soffrire, arrivare anche a morire, lasciando solo una effimera traccia della nostra esistenza racchiusa in piccole targhette metalliche. Ed eccoci in cima, con tutt'attorno il silenzio del pomeriggio estivo, possiamo sederci all'ombra delle poderose membra della dea luciferina (portatrice di luce)  e abbandonare al contempo la disgustosa ipocrita celebrazione di tante morti inutili. I morti sono morti. Accompagnati al macello da generali carnefici con addosso i panni della più bieca retorica della guerra giusta. Ci vuole un po' di fantasia per scorgere in quei nomi che ci hanno accompagnato fin lì, delle persone che sono state straziate nella carne e forse prima ancora, nello spirito. Ancor più difficile è questo pensiero se guardiamo la gente intorno a noi ridere, scherzare o chiacchierare senza nessun ricordo nè consapevolezza di quell'istante ormai lontano più di cento anni in cui  si spegneva una giovane vita. Di sicuro siamo stati bravi nel mascherare queste orribili morti con tutto il corredo ipocrita dell'eroismo, delle fanfare, dei nastrini e delle medaglie, delle celebrazioni rituali. C'è persino un generale tra le migliaia di soldati semplici morti qui ricordati. Il chè è singolare perchè quasi tutti i valorosi generali della nostra Grande Guerra sono deceduti placidi nei loro letti, tra il tintinnio triste delle medaglie e delle decorazioni al merito. 
Non è più così piacevole la scampagnata nel verde pubblico cittadino tra i maestosi carpini bianchi, le querce, i noccioli e le centinaia di specie arboricole messe qui a dimora fin dalla fine degli anni '20. Scendendo verso il fiume, non riusciamo più a pensare a questa immagine diffusa di retorica bellica che parla di eroi immolatisi per una causa suprema. Solo tristezza e rabbia, sentimenti che non si addicono ad una vacanza spensierata in una bella città.